La sfida dei fondi sostenibili attirano più risparmi degli altri
FRANCESCA VERCESI La prima mappa Assogestioni dopo l’entrata in vigore della normativa Sfdr mostra che nel primo trimestre 2021 gli strumenti “green” hanno attirato flussi per 18 miliardi, gli altri ne hanno persi 2,4. E a tirare sono quelli più severi
D ue gocce di Chanel n. 5 prima di andare a letto. Era questo, un tempo, il numero della seduzione. Adesso, complici la pandemia, i cambiamenti climatici e l’abuso del pianeta, ad attrarre sono altri numeri, l’8 e il 9. Che evocano forze seduttive diverse: il rispetto per l’ambiente e i buoni comportamenti. Lo sanno bene le case di gestione che stanno facendo a gara per soddisfare le aspettative non solo dei clienti ma dei regolatori in materia di investimenti sostenibili. A due mesi dall’entrata in vigore della “Sustainable finance disclosure regulation” (Sfdr), la normativa europea che mira a sistematizzare il quadro della finanza sostenibile e a contrastare i fenomeni di greenwashing, le società di investimento si sono trovate a dover introdurre informazioni obbligatorie sulle caratteristiche Esg (acronimo di environment, social e governance) dei prodotti d’investimento e sulle modalità con cui le stesse impattano sul processo di gestione. E così, ora, gli asset manager classificano un prodotto come “verde chiaro” o articolo 8 – se promuove caratteristiche ambientali o sociali, o una combinazione delle due – oppure come “verde scuro” o articolo 9, se hanno parametri molto stretti in tema di sostenibilità, come ad esempio una strategia di “impact investing”. Certo il nuovo regolamento è solo un primo mattone nella disciplina degli investimenti ma i risultati già si vedono. Assogestioni, associazione italiana dei gestori del risparmio ha incluso per la prima volta i fondi “Sfdr compitarti” nella sua mappa trimestrale. Risultato? Nei primi tre mesi dell’anno la raccolta netta promossa dai fondi sostenibili è stata di 18 miliardi di euro, 14,1 miliardi su fondi articolo 8 e 3,9 miliardi su fondi articolo 9. Già qui si può vedere che i fondi “verde scuro” hanno attratto più risorse, in proporzione al loro numero e alle masse che gestiscono: in Italia infatti sono acquistabili 125 fondi “verde scuro” (con un patrimonio di 27,6 miliardi) e ben 1.080 “verde chiaro” (con un patrimonio di 248 miliardi). I numeri, però, colpiscono ancora di più se si confrontano con quelli dei fondi privi del “bollino”: nel primo trimestre, infatti, il totale dei fondi comuni aperti ha attratto una raccolta netta paria soli 15,6 miliardi di euro. Significa che quelli né articolo 8 né articolo 9 hanno visto un deflusso netto di 2,4 miliardi, nonostante siano più numerosi (4.214) e gestiscano un patrimonio più elevato (787 miliardi). «L’applicazione del regolamento è certo un passaggio epocale: dimostra come l’industria dell’asset management stia prendendo consapevolezza del ruolo che ricopre a livello sociale, indirizzando i risparmi verso attività virtuose per il mondo e redditizie per l’investitore», commenta Luca Tenani, country head di Schroders in Italia. Che aggiunge: «Siamo solo all’inizio di un lungo percorso. La simultaneità delle richieste dei gestori ha evidentemente comportato un congestionamento dell’attività in capo all’autorità lussemburghese Cssf e un rallentamento nell’approvazione dei prodotti. Ad ogni modo i dati iniziali sono incoraggianti e destinati ad aumentare nel corso dell’anno». Che la strada sia ancora lunga è opinione condivisa: «La normativa è servita perché ha accelerato un processo virtuoso ma sta creando una grande sfida. Non tutti partiamo nello stesso modo, alcune società hanno un vantaggio perché sono già nate incorporando strategie sostenibili, altre molto meno», afferma Sergio Trezzi, managing director del gestore americano Nuveen. Precisa Trezzi: «Etichettare in maniera univoca una metodologia gestionale semplifica ma, alla lunga, sarà un grande filtro. Non ci si improvvisa Esg né tantomeno “impact investing”. Alcune società sono state prudenti, altre hanno visto la normativa come una mera opportunità di marketing. Ma chi non è stato corretto la pagherà in termini di brand e percezione. Saranno il tempo, il mercato e magari le authority a controllare se quanto hai dichiarato corrisponde al vero». Negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza degli investitori o dei temi socio-ambientali sugli investimenti. «Un aspetto fondamentale per noi è l’engagement: il dialogo con il management delle imprese in cui investiamo e l’azionariato attivo, ovvero l’esercizio dei diritti di voto connessi alla partecipazione al capitale di queste aziende. E il modo migliore per essere trasparenti e costruttivi», conclude Trezzi. L’industria può dunque avere un ruolo nell’orientare l’economia reale. E ognuno lo farà nella scala in cui opera: «Più l’approccio sarà regolamentato più anche i piccoli attori potranno spingere le società a fare meglio», dice Lorenzo Gazzoletti, ceo della boutique finanziaria parigina Montpensier Finance. Continua Gazzoletti: «Siamo in una fase delicata e interessante. Bisogna agire bene perché il mercato vuole le performance e non vuole finti fondi Esg a cui si appiccica un’etichetta di sostenibilità ex post. Con la Sfdr si sta andando nella giusta direzione ma, con l’arrivo della tassonomia sarà tutto ancora più preciso». Il riferimento è al fatto che il regolamento Sfdr rientra in un progetto più ampio, che punta a creare norme ancora più vincolanti. E proprio in quest’ottica si inserisce la “Tassonomia”, che entrerà in vigore più avanti e che definisce i criteri in base ai quali un’attività è considerata sostenibile. Tra le critiche, c’è chi dice che nell’approccio Ue la sostenibilità è troppo sbilanciata sulla componente ambientale: «Questo accade perché il regolatore ha bisogno di orientare gli investimenti pubblico-privati sulla trasformazione energetica. Certo la governance andrà più regolamentata. Ma questo è compito della politica». E d’accordo Tenani: «Il regolamento è focalizzato su obiettivi prettamente ambientali e sono auspicabili sviluppi anche dal punto di vista dell’impatto sociale. Sostenibilità e profitto sono e saranno sempre più due facce della stessa medaglia». Conclude David Czupryna, head Esg development di Candriam: «Il livello 2 della Sfdr, che entrerà in vigore nel 2022, richiederà informazioni più minuziose su prodotti e asset manager. Il volume dei dati resi pubblici crescerà, il che probabilmente rafforzerà l’influenza dei data provider Esg e ciò potrebbe portare a un’ulteriore concentrazione. Poiché la supervisione sui prodotti finanziari rimane una questione nazionale, ogni regolatore può adottare diverse interpretazioni, ponendo ulteriori sfide per gli asset manager che distribuiscono i prodotti in vari Paesi».